Guido Reni (Bologna, 4 novembre 1575 – Bologna, 18 agosto 1642) è stato un pittore e incisore italiano, uno dei massimi esponenti del classicismo seicentesco. BiografiaReni è nato a Bologna, nell'attuale Palazzo Ariosti in via San Felice, da Daniele, musicista e insegnante della Cappella di San Petronio. Nel 1584, secondo lo storico Carlo Cesare Malvasia, che conobbe il pittore, abbandonò i suoi studi di musica, avviati da suo padre, per entrare nell'officina bolognese stabilita del pittore fiammingo Denijs Calvaert, come apprendistato destinati a un grande successo come Francesco Albani e Domenichino e sappiamo che ha studiato in particolare le incisioni di Dürer e Raffaello. Suo padre morì il 7 gennaio 1594, Guido lasciò il laboratorio di Calvaert per unirsi all'Accademia degli Incamminati. Nel 1598, già pittore indipendente, dipinse l'Incoronazione della Vergine e quattro santi, oggi nella Pinacoteca di Bologna, per la chiesa di San Bernardo, e vinse il concorso, in concorso con Ludovico Carracci, per la decorazione della facciata del Palazzo del Regimento, l'attuale edificio comunale di Bologna. La figura di Guido Reni è stata ripresa anche dallo scrittore tedesco Joseph von Eichendorff nel suo romanzo Aus dem Leben eines Taugenichts, la vita di uno stalker. Forse già nel 1600 ma certamente nel 1601 era a Roma, dove fu pagato dal cardinale Sfondrato per il suo Martirio di santa Cecilia della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere. Nel marzo del 1602 tornò nella città natale per assistere ai funerali del grande Agostino Carracci e fu incaricato di incidere a stampa le decorazioni allestite per il funerale. Viaggiò da Bologna a Roma e di qui a Loreto, per trattare delle eventuali decorazioni della Santa Casa che furono però affidate al Pomarancio. È la sua ricerca del bello ideale, ricavato dal classicismo raffaellesco nella mediazione dei Carracci che sfiora soltanto la visione naturalistica di Caravaggio ma se ne allontana per la necessità di ammantarla di decoro; di questa esperienza, nel primo decennio del secolo, sono parte il Davide con la testa di Golia del Louvre, il Martirio di santa Caterina per la chiesa di Sant'Alessandro a Conscente, ora al Museo diocesano di Albenga in Liguria, La preghiera nell'orto di Sens e L'incoronazione della Vergine di Londra. Il 25 settembre 1609 ricevette il primo acconto per gli affreschi della cappella Paolina in Santa Maria Maggiore che interruppe alla fine del 1610, sembra per contrasti con l'amministrazione papale. Tornò a Bologna dopo il 1614, anno in cui terminò l'Aurora per il casino Rospigliosi (a Roma). La Strage degli innocenti e il Sansone vittorioso furono probabilmente iniziati a Roma e terminati a Bologna (venti scudi gli erano infatti anticipati a Roma per la commissione della Strage). Se il Sansone è un gigante effeminato che si ristora dopo il massacro, e i morti sembrano dormire placidamente nella serenità albeggiante di una vasta pianura, nell'altra Strage, rappresentata con sei donne, due piccoli morti e due assassini, la tragedia è congelata nella misura e nella simmetria della composizione raffaellesca. Di questo dipinto, suo capolavoro assoluto, si ricordarono Poussin, i pittori neoclassici francesi e persino Picasso, che richiamò la tela di Reni in alcune parti del suo Guernica. Tornò a Roma nel 1612, per terminare in aprile gli affreschi di Santa Maria Maggiore; il cardinale Scipione Borghese gli commissionò, per un Casino nel parco del suo palazzo, ora Palazzo Pallavicini Rospigliosi, l'affresco dell'Aurora, terminato nell'agosto 1614. Dopo un breve soggiorno a Napoli, ancora a Roma ai primi del 1614, tornò definitivamente a Bologna nell'ottobre 1614. Al primo viaggio di ritorno da Roma, e ai dubbi sulla sua pittura, è dedicato il romanzo biografico Il viaggio di Guido Reni, scritto da Manlio Cancogni e vincitore del Premio Grinzane Cavour del 1987 (Lit, Roma, 2013). Nel 1615 terminò di affrescare la Gloria di San Domenico nel catino absidale della nuova cappella barocca contenente l'arca del santo fondatore dell'ordine domenicano, che aveva iniziato due anni prima e subito interrotto a causa dei viaggi a Roma. I lavori che aveva in corso, in contemporanea e su grandi formati, sia a Roma che a Bologna, necessitarono da subito la collaborazione di colleghi, assistenti e giovani praticanti. Tanti furono i giovani pittori che ambirono ad essere considerati suoi allievi, partecipando attivamente alla vita delle sue diverse “stanze” oppure passandovi sporadicamente per cogliere qualche spunto dai suoi lavori in corso d’opera; per questo motivo Reni riservava ai suoi lavori più importanti ambienti appartati, per evitare plagi da parte di giovani di passaggio e per smorzare invidie tra gli assistenti più stretti. Nel maggio 1622 fu a Napoli, per affrescare la cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo ma non raggiunse l'accordo economico e ripartì per Roma, dopo aver dipinto tre tele per la chiesa di San Filippo Neri. Nel 1625 firmò e datò a Roma il Ritratto del cardinale Roberto Ubaldini, ora in una collezione privata inglese, e la grande pala barocca della Trinità per la chiesa dei Pellegrini, terminata a settembre e dipinta, secondo il Malvasia, in ventisette giorni. A questo periodo (1627) appartiene anche la celeberrima tela della Immacolata Concezione, oggi nella Chiesa di San Biagio a Forlì. Ritornò ancora a Roma nel 1627 per eseguire gli affreschi, commissionatigli dal cardinale Barberini, delle Storie di Attila in San Pietro; impose che nessuno – «né anco i cardinali» - salisse sulle impalcature durante i lavori e tuttavia non iniziò nemmeno e ripartì bruscamente per Bologna, per l'ostilità di alcuni cardinali e della gelosia del Gessi, suo ex allievo. Durante questa permanenza a Roma dall'ambasciatore spagnolo ricevette la commissione del Ratto d'Elena, ma non si accordò sul compenso e fu allora venduto in Francia a Monsieur de la Vrillière: è una fredda e decorativa scena da melodramma cortigiano, diversamente dal Ritratto del cardinale Bernardino Spada, conservato nell'omonima Galleria romana, donato dal pittore all'amico cardinale, legato pontificio a Bologna. Lo Spada è rappresentato con evidente simpatia e una resa vibrante di colori che ne esalta l'aspetto aristocratico e intelligente in un contesto di compostezza e decoro. Superata la tremenda peste del 1630, il Senato bolognese gli commissionò la pala votiva della Madonna col Bambino e santi, criticata dai contemporanei per la sua seconda maniera: schiarisce le tonalità, intridendole di argento, come si nota anche nella delicata Annunciazione di Ascoli Piceno. Prima del 1635 eseguì su seta, per il cardinale Sant'Onofrio, fratello del papa Urbano VIII, il San Michele arcangelo. Celebrato come esempio di bellezza ideale, il Reni, in una lettera, scrisse di aver voluto avere «pennello angelico o forme di Paradiso per formare l'Arcangelo o vederlo in Cielo; ma io non ho potuto salir tant'alto ed invano l'ho cercato in terra. Sicché ho riguardato in quella forma che nell'idea mi sono stabilita.» Fanno parte della produzione ultima le Adorazioni dei pastori di Napoli e di Londra, i San Sebastiano di Londra e di Bologna, la Flagellazione di Cristo di Bologna, Il suicidio di Cleopatra e La fanciulla con corona, entrambe nella Pinacoteca Capitolina e per ultimo il San Pietro piangente in collezione privata, che Alex Cavallucci e Andrea Emiliani collocano in questi ultimi anni di vita del maestro. Sono opere che il Malvasia definì incompiute: eseguite a pennellate veloci e sommarie, secondo un'intenzione stilistica che la critica, dal Novecento, riconobbe invece come consapevole scelta estetica. Per il suo biografo, a causa dei debiti, il pittore fu costretto negli ultimi anni «a lavorare mezze figure e teste alla prima, e senza il letto sotto; a finire inconsideratamente le storie e le tavole più riguardevoli; a prender denaro a cambio da tutti; a non ricusare ogni imprestito da gli amici; a vendere, vil mercenario, l'opra sua e le giornate a un tanto l'ora.» Sembra certo che soffrisse di depressione: «comincio a non piacere più nemmeno a me stesso», scrisse, e confessò di pensare alla morte «conoscendo essere vissuto assai, anzi troppo, dando fastidio a tanti altri, forzati a star bassi finch'io vivo.» Il 6 agosto 1642 fu "colto da febbri" che lo portarono a morte il 18 agosto, a 67 anni. Il corpo fu esposto vestito da cappuccino e sepolto nella cappella del Rosario della basilica di San Domenico, per volontà del senatore bolognese Saulo Guidotti, legato al pittore da profonda amicizia. Accanto a lui giaceranno presto anche le spoglie di Elisabetta Sirani, figlia di Giovanni Andrea Sirani, suo allievo prediletto. È la sostanziale ambiguità della sua poetica ad aver fatto oscillare l'apprezzamento della sua opera nel tempo: fu esaltato dai contemporanei per l'armonia raggiunta nel coniugare il classicismo raffaellesco alle esigenze di verità poste da Caravaggio - esigenze naturalistiche del resto già sentite dal Reni fin dal tempo della sua frequentazione dei Carracci - e depurate dagli eccessi in nome del decoro e della ricerca del bello ideale. «Di tutti gli allievi dei Carracci è stato il più felice e ancor oggi si trova un'infinità di persone che prediligono le sue opere al punto da preferire la delicatezza e la grazia che manifestano alla grandezza e alle forti espressioni di altre» (Des Avaux, 1666) e Pierre-Jean Mariette, nel 1741, scrive che «la nobiltà e la grazia che Guido ha soffuso sui volti, i suoi bei drappeggi, uniti alla ricchezza delle composizioni, ne hanno fatto un pittore dei più gradevoli. Ma non si deve credere che sia giunto a questo senza essersi sottoposto a un intenso lavoro. Lo si vede soprattutto nei disegni preparatori di grandi dimensioni: ogni particolare è reso con assoluta precisione. Attraverso di essi si rivela un uomo che consulta continuamente la natura e che non fa alcun assegnamento sul suo dono felice di abbellirla.» Apprezzate nel Settecento anche le opere dell'ultima maniera dalle forme che si dissolvono nella luce, nell'Ottocento, a parte la stroncatura di John Ruskin, nel 1844, ("la religione deve essere ed è sempre stata il fondamento e lo spirito informatore di ogni vera arte. Mi assale una collera disperata quando sento che Eastlake compera dei Guido per la National Gallery"), intorno al Reni si fa silenzio quando non vi è il disprezzo per certe espressioni della sua pittura devozionale. Nel 1923 esce l'importante articolo di Hermann Voss sugli anni romani dell'attività del Reni, in cui lo studioso tedesco individua l'attenzione del bolognese alla pittura moderna di Annibale Carracci e dello stesso Caravaggio ma con un approccio da conservatore che "paralizza" la monumentalità dell'uno e il naturalismo dell'altro, tanto da suscitare l'entusiasmo di un Cavalier d'Arpino. «L'irresistibile incanto del Reni era ed è riposto nel sensuale fascino della sua cantilena in una sua tipica e inimitabile dolcezza musicale [...] il modo con cui lascia cadere una veste frusciante, con cui, grazie ad una semplicissima curva compositiva, fa risuonare e vibrare l'intera figurazione, ha qualcosa di sonnambulesco.» Non vi sono nel Reni nuovi pensieri e originalità compositive ma un semplice confrontarsi con la tradizione: la forza del pittore sta «nell'alto senso della bellezza e in quella musicalità del sentire che nobilitano ogni linea, ogni movenza.» Per il Longhi, nel Reni è acutissimo il desiderio «di una bellezza antica ma che racchiuda un'anima cristiana [...] spesso, da vero pittore e poeta, escogita gamme paradisiache [...] angeli soffiati in rosa e biondo [...] un anelito a estasiarsi, dove il corpo non è che un ricordo mormorato, un'impronta; un movente quasi buddistico, che bene s'accorda con l'esperienza tentata da Guido di dipinger sulla seta, a somiglianza, appunto, degli orientali.» Il suicidio di Cleopatra (circa 1625-1626), Bildergalerie (Sanssouci), Potsdam Una grande mostra a Bologna nel 1954 accentuò l'interesse critico per l'artista: per il Ragghianti, «il vero Reni ci si presenta come un artista rimasto, oltre ogni dottrina e bravura di prove, trepidamente adolescente, in un crepuscolo di esperienze che, come nella pubertà, avvolge il senso nella fantasia e gli dà quell'accensione fascinosa che dilata la realtà.» Per Cesare Gnudi, la poetica classicista fu dominante nel Reni, ed egli, pur identificando il suo ideale di bellezza con le immagini della mitologia classica, dovette mediare tale ideale con la realtà storica, politica e religiosa, cui aderiva, della Controriforma, e «fra il suo ideale di bellezza e il suo sentimento religioso già assestato in una quieta e accomodante pietà, egli non sentì forse mai un vero contrasto.» Non è vero che il vero Reni si troverebbe nell'evocazione di soggetti mitologici e un falso Reni si esprimerebbe nella convenzionalità dei suoi soggetti religiosi; se mondo classico e mondo religioso non contrastano fra di loro, tuttavia nemmeno si identificano e il Reni non sentì mai di dover scegliere: «La scelta non avvenne perché egli sentiva nell'uno e nell'altro mondo qualche parte vitale di sé. Non avvenne mai la rinuncia all'uno in nome dell'altro. Il dualismo restò così fino all'ultimo, continuamente composto e continuamente affiorante.» Negli ultimi anni «alla levitazione della forma materica farà seguito progressivo un disfacimento delle ultime vestigia naturali; la pittura andrà sempre più a decomporsi come una crisalide, lasciando emergere la struttura scarna e tuttavia persuasiva del progetto grafico sottostante. L'accelerazione è così evidente da far risuonare sotto le volte dello studio posto quasi in piazza Maggiore quel non finito che il Manierismo aveva portato al livello della metafora (l'impossibile a dire, a esprimere) che al contrario Guido intendeva come la sublime sprezzatura poetica dell'esprimibile toccato e colto nella pienezza dell'idea, del suo mondano travestimento.» (Emiliani). EnglishGuido Reni ( 4 November 1575 - 18 August 1642) was an Italian painter of the Baroque period, although his works showed a classical manner, similar to Simon Vouet, Nicholas Poussin, and Philippe de Champaigne. He painted primarily religious works, but also mythological and allegorical subjects. Active in Rome, Naples, and his native Bologna, he became the dominant figure in the Bolognese School that emerged under the influence of the Carracci. BiographyBorn in Bologna into a family of musicians, Guido Reni was the only child of Daniele Reni and Ginevra Pozzi. At the age of nine, he was apprenticed to the Bolognese studio of Denis Calvaert. When Reni was about twenty years old, the three Calvaert pupils migrated to the rising rival studio, named Accademia degli Incamminati (Academy of the "newly embarked", or progressives), led by Ludovico Carracci. They went on to form the nucleus of a prolific and successful school of Bolognese painters who followed Lodovico's cousin Annibale Carracci to Rome. By late 1601, Reni had moved to Rome to work with the teams led by Annibale Carracci in fresco decoration of the Farnese Palace. During 1601–1604, his main patron was Cardinal Paolo Emilio Sfondrati. By 1604–1605, he received an independent commission for an altarpiece of the Crucifixion of St. Peter. After returning briefly to Bologna, he went back to Rome to become one of the premier painters during the papacy of Paul V (Borghese); between 1607–1614, he was one of the painters most patronized by the Borghese family. Reni's frescoed ceiling of the large central hall of the Casino dell'Aurora, located in the grounds of the Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, is often considered his fresco masterpiece. The massive fresco is framed in quadri riportati and depicts Apollo in his Chariot preceded by Dawn (Aurora) bringing light to the world. The work is restrained in classicism, copying poses from Roman sarcophagi, and showing far more simplicity and restraint than Carracci's riotous Triumph of Bacchus and Ariadne in the Farnese. In 1630, the Barberini family of Pope Urban VIII commissioned from Reni a painting of the Archangel Michael for the church of Santa Maria della Concezione dei Cappuccini.The painting, completed in 1636, gave rise to an old legend that Reni had represented Satan—crushed under St Michael's foot—with the facial features of Cardinal Giovanni Battista Pamphilj in revenge for a slight. Work in Naples and return to Bologna Returning to Bologna more or less permanently after 1614, Reni established a successful and prolific studio there. And in 1611 he had already painted for San Domenico a superb Massacre of the Innocents, now in the Pinacoteca Nazionale di Bologna, which became an important reference for the French Neoclassic style, as well as a model for details in Picasso's Guernica. After leaving Rome, Reni alternately painted in different styles, but displayed less eclectic tastes than many of Carracci's trainees. For example, his altarpiece for Samson Victorious formulates stylized poses, like those characteristic of Mannerism. In contrast, his Crucifixion and his Atlanta and Hipomenes depict dramatic diagonal movement coupled with the effects of light and shade that portray the more Baroque influence of Caravaggio. His turbulent yet realistic Massacre of the Innocents (Pinacoteca, Bologna) is painted in a manner reminiscent of a late Raphael. In 1625, Prince Władysław Sigismund Vasa of Poland visited the artist's workshop in Bologna during his visit to Western Europe.The close rapport between the painter and the Polish prince resulted in the acquisition of drawings and paintings. By the 1630s, Reni's painting style became looser, less impastoed, and dominated by lighter colors. A compulsive gambler, Reni was often in financial distress despite the steady demand for his paintings. According to his biographer Carlo Cesare Malvasia, Reni's need to recoup gambling losses resulted in rushed execution and multiple copies of his works produced by his workshop. Among the paintings of his last years are many unfinished works. Reni's themes are mostly biblical and mythological. He painted few portraits; those of Sixtus V, and Cardinal Bernardino Spada are among the most noteworthy, along with one of his mother (in the Pinacoteca Nazionale di Bologna) and a few self-portraits from both his youth and his old age. Reni died in Bologna in 1642. He was buried there in the Rosary Chapel of the Basilica of San Domenico. Reni was the most famous Italian artist of his generation.Through his many pupils, he had wide-ranging influence on later Baroque. In the center of Bologna he established two studios, teeming with nearly 200 pupils. His most distinguished pupil was Simone Cantarini, named Il Pesarese, who painted the portrait of his master now in the Bolognese Gallery. Beyond Italy, Reni's influence was important in the style of many Spanish Baroque artists, such as Jusepe de Ribera and Murillo. But his work was particularly appreciated in France—Stendhal believed Reni must have had "a French soul"—and influenced generations of French artists such as Le Sueur, Le Brun, Vien, and Greuze; as well as on later French Neoclassic painters. In the 19th century, Reni's reputation declined as a result of changing taste—epitomized by John Ruskin's censorious judgment that the artist's work was sentimental and false. A revival of interest in Reni has occurred since 1954, when an important retrospective exhibition of his work was mounted in Bologna.
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